23 gennaio 2009

Burocrazia e Burocratese

   “[…] scegli fra tutto il popolo uomini capaci, timorati di Dio, leali, sdegnosi di lucro; e stabiliscili sul popolo come capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di decine, affinché rendano giustizia al popolo in ogni occorrenza: e riferiscano a te soltanto le questioni di maggior importanza, ma risolvano essi stessi le cause più piccole […]”(Vecchio Testamento, Libro dell’esodo, 18,20 – 18,23.)

   L’idea di organizzazione burocratica la scoviamo in una delle fonti più antiche dell’umanità, e in particolare in uno dei consigli che Mosè riceve da suo suocero, Jethro, nel Vecchio Testamento. E tanto antica quanto la stessa burocrazia sembrerebbe essere la critica indirizzata ad essa. Lo stesso termine burocrazia è marcato piuttosto negativamente. La burocrazia quasi ci disturba, come fosse un condomino antipatico che siamo comunque costretti ad incontrare ogni mattina per le scale.


   In effetti la nostra vita pare essere gestita e continuamente assistita da una macchina onnipresente, vincolata a regole ben precise.
   In epoca moderna lo stato ha iniziato a dotarsi di un proprio apparato di dipendenti, dapprima assai contenuto, ma poi via via crescente, fino a divenire negli ultimi decenni un articolatissimo complesso di addetti alla pubblica amministrazione.


   La lingua della burocrazia è di conseguenza la lingua dello stato. Eppure l’etichetta lingua della burocrazia o linguaggio burocratico-amministrativo, come viene spesso definita, continua ad apparirci una realtà poco circoscritta. . Dichiarazioni di assunzione, estratti conto, moduli di tutti i tipi, verbali di contestazione (multe), bandi di concorso, circolari ministeriali e non, avvisi ai cittadini, sono testi che, nonostante la diversità dei messaggi che veicolano, fanno parte della comunicazione intesa come burocratica. Ciò che li accomuna è la presenza di alcune scelte linguistiche.

 
   L’apparato burocratico si regge sulle leggi dello stato, per cui il linguaggio burocratico è direttamente legato alla lingua del diritto. In molti lo considerano una sorta di parente povero, o caricaturale del linguaggio giuridico. Conserva la stessa inclinazione che ha la lingua del diritto per la precisione, l’impersonalità e l’obiettività del proprio stile espressivo. In più, il burocrate segue soprattutto due comandamenti: rispettare i criteri di ufficialità e uniformità. Significa seguire le formule prescritte dall’autorità competente e garantire l’uniformità delle procedure e delle interpretazioni, motivo per il quale il linguaggio burocratico si presenta come una varietà di lingua immobile, scarsamente orientata ad accogliere innovazioni e cambiare la propria veste linguistica.


   Capita però, esclusi alcuni casi singolari, che nella comunicazione tra istituzioni di qualsiasi genere e cittadino lo stile oggettivo, impersonale ed ufficiale venga esasperato, amplificato a tal punto da creare inutili ed ingiustificabili barriere alla comprensione. Il passo è breve, anzi brevissimo. Impersonalità ed ufficialità diventano agli occhi del profano oscurità, artificiosità e anonimato. Ecco che, anche a causa della sua più forte ricaduta sulla vita di tutti i giorni, da diversi decenni si contano diversi tentativi di semplificazione del linguaggio burocratico-amministrativo, ma di questo parleremo più avanti. Invece elenchiamone brevemente le caratteristiche, o i peccati (dipende dalla prospettiva che intendiamo assumere).
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