3 febbraio 2009

La Qualità di un Testo



Abbiamo già osservato nel post precedente come, nel giudicare se un messaggio risulti chiaro o meno, non si possa prescindere dalla capacità di comprensione del destinatario.



 

Da adesso in poi ci interesseremo in maggior misura di un’entità comunicativa ben precisa: il testo, come può esserlo una citazione a testimoni per udienza penale oppure una lettera del Ministero delle imposte. Spieghiamoci meglio: testi prodotti entro un contesto di comunicazione giuridica o burocratica da un emittente e decodificati da un ricevente. 

   Ma facciamo prima due considerazioni:
 
   Anzitutto, l’emittente in questione scrive in qualità dell’istituzione governativa che rappresenta. Pertanto è tenuto a conformarsi allo stile dell’organizzazione per la quale lavora e deve rispettare le direttive che riceve dai suoi superiori.
   In secondo luogo, dire destinatario è riduttivo. I destinatari, vale a dire i cittadini, hanno atteggiamenti, conoscenze, necessità e competenze diverse. Inoltre, quotidianamente ogni cittadino riceve materiale informativo cartaceo per posta che può non interessarlo. Di conseguenza sviluppa una sorta di resistenza all’informazione

   Ecco perché assumono particolare importanza aspetti come il dosaggio delle informazioni e la loro giusta organizzazione nel testo
   Ma ritorniamo al messaggio, ossia al testo. Anche il concetto di qualità testuale, così come abbiamo osservato per il concetto di chiarezza, sembra essere piuttosto vago.
A tale proposito si rivela interessante la proposta di Jan Renkema, professore della Tilburg University, il quale, nell’ambito di un progetto di ricerca sull’efficacia della campagna di comunicazione verso i cittadini sviluppata dal Ministero delle imposte olandese, ha elaborato un modello analitico e sistematico per valutare la qualità di un testo.


Criteri per valutare la Qualità di un testo: the CCC - Model
Nella prospettiva del ccc – model, questo il nome del modello, la qualità di un testo è strettamente vincolata al raggiungimento degli scopi che il testo si propone.
In pratica, si procede attraverso 15 evaluation points (momenti di valutazione) che si basano su tre criteri essenziali: corrispondenza, coerenza e correttezza.
Per corrispondenza si intende che la qualità di un testo è accettabile solo se l’emittente raggiunge i suoi obiettivi e se vengono soddisfatte le aspettative del ricevente. Nella ricerca dell’equilibrio tra emittente e destinatario abbiamo diverse alternative. Questo spiega il secondo criterio: la coerenza. La qualità di un testo dipende molto dall’abilità di chi scrive di essere coerente con le scelte fatte (struttura, terminologia, impaginazione). Il terzo criterio, la correttezza, impone che il testo non contenga errori, nella forma e nel contenuto.
I tre criteri si applicano ai cinque livelli tradizionali di analisi testuale: tipo di testo, contenuto, struttura, terminologia e presentazione

   Così per esempio se dovessimo valutare il contenuto di una lettera di risposta, inviata ad un cittadino che in precedenza chiedeva delucidazioni sulla detrazione di particolari tipi di imposte, diremmo che, per quanto riguarda il criterio di corrispondenza, la lettera debba rispondere in modo adeguato alle domande rivolte dal cittadino all’ufficio. Allo stesso modo, per quanto riguarda i criteri di coerenza e di correttezza, la lettera deve essere priva di contraddizioni e le risposte devono essere fornite senza errori.
   Tirando le somme, non possiamo non ravvisare alcuni limiti nel modello, come per esempio l’assenza di parametri che ci mettano in condizione di stabilire a priori se per esempio la terminologia scelta nella produzione del testo sia appropriata o meno. Probabilmente, per stabilire se le informazioni contenute da un testo siano sufficienti, dovremmo affidarci al giudizio di chi riceve il messaggio.
   Tuttavia bisogna riconoscere il valore del modello di Renkema. È nello stesso approccio dello studioso. Finalmente vengono prese in seria considerazione le aspettative ed i bisogni dei destinatari di una comunicazione.
Il sito ufficiale di Jan Renkema.

2 febbraio 2009

Meritiamo Chiarezza


   Cominciamo dagli aspetti che tendiamo a dare per scontati.

   Che cosa significa comunicare? A grandi linee significa scambiarsi delle informazioni. Chi vuole comunicare deve farsi capire, altrimenti fallisce il suo obiettivo di emittente. Se il nostro interlocutore non comprende il messaggio che vogliamo trasmettergli, è quasi come se non avessimo mai comunicato.

   A tal proposito A. Testa (2002) commenta che:
   “Se a non farsi capire è un professionsta della comunicazione, questo danneggia lui anche come professionista, che tradisce il mandato del suo committente e corre, poi, il rischio di farsi licenziare.
  Anche se non lo licenziano, c’è un particolare tipo di professionista che non può permettersi di non rivolgersi a tutti: è chi comunica per conto di un organizzazione pubblica […]”.


   Quando un tribunale, un ufficio o qualsiasi altra organizzazione pubblica cerca di regolare i comportamenti dei cittadini, e certamente lo fa comunicando, ha il dovere di farsi capire. Per garantire l’interesse pubblico è necessario che la comunicazione pubblica sia trasparente, ossia democratica, quindi chiara. 


   In questa ottica, la richiesta che istituzioni giuridiche e pubbliche comunichino e producano messaggi chiari e comprensibili non è solo una fissazione di linguisti o esperti della comunicazione, piuttosto scaturisce da ragioni pratiche .
   Infatti il comune cittadino si trova spesso nella situazione paradossale di dover adeguare il proprio comportamento a disposizioni che gli vengono comunicate in un linguaggio che comprende con difficoltà o, nella peggiore delle ipotesi, non comprende affatto. 

   Naturalmente i cittadini accettano l’ordinamento giuridico e si rimettono al giudizio delle istituzioni che regolano la vita associata, ma gran parte di essi lo fa senza conoscere bene le leggi e magari senza capire bene il contenuto della lettera che l’altro ieri hanno ricevuto dall’ufficio del comune in cui vivono. Perché pensano: “Qualche motivo ci sarà, meglio fare come dicono.” 
   Ma una democrazia ha bisogno di cittadini che siano maggiorenni e critici. Ha bisogno di cittadini che siano in grado di partecipare alle scelte e alle decisioni di uno stato. Ecco perché è necessario che il consenso e la collaborazione che le istituzioni chiedono ai cittadini si basino sulla possibilità di comprendere, e non sull’indifferenza.


Cosa significa essere chiari ?

La chiarezza sembra essere un concetto facile da riconoscere. Diremo per esempio che la lettera che abbiamo ricevuto ieri dalla segreteria dell’università alla quale siamo iscritti è scritta in modo chiaro, in quanto abbiamo capito perfettamente il contenuto che intendeva comunicarci. 

   D’altra parte però la chiarezza è spesso difficile da definire. E poi, chiaro rispetto a che cosa? Comprensibile per chi? Siamo d’accordo con Annamaria Testa (2002) quando sostiene che “Dire in maniera semplice e comprensibile come si fa a dire le cose in modo semplice e comprensibile è cooomplicatissssimooo.” Al contrario di quanto uno possa credere, è più facile scrivere complicato piuttosto che scrivere in modo chiaro.

   Sicuramente la chiarezza non ha un essenza statica, fissa. Un’ordinanza di citazione per esempio può essere chiara, quindi comprensibile, per l’avvocato Lo Bello, ma può non esserlo per sua moglie. La chiarezza, così come la comprensibilità, è sempre relativa. È relativa all’argomento, al contesto, al destinatario (e quindi alla sua condizione, alle sue competenze, alle sue motivazioni). Entrano in gioco variabili legate al tempo, al luogo, alle classi sociali, ai mezzi di comunicazione impiegati, alle scelte stilistiche.
   Quando parliamo di chiarezza e
comprensibilità dobbiamo spostare la nostra attenzione dalla capacità di esprimersi alla capacità di comprendere. In altre parole, quando la comunicazione, in ambito giuridico o burocratico, si svolge tra addetti ai lavori è improbabile che sorgano problemi di comprensione. Questi ultimi sorgono piuttosto quando impiegati che lavorano nei tribunali o per altre organizzazioni pubbliche parlano o scrivono ai cittadini. Nella maggior parte dei casi infatti l’esperto che si configura come emittente tende a considerare se stesso come unica misura di comprensibilità di quanto dice o scrive, proiettando le proprie competenze sul destinatario.


   Non è necessario dunque avviare un processo di semplificazione che coinvolga a trecentosessanta gradi tutta la comunicazione che si sviluppa in ambito giuridico o negli ambienti burocratici. Occorre piuttosto, nel momento in cui ci si rivolge a utenti non esperti, insistere su una comunicazione adeguata ed efficace; quindi tentare di raggiungere la tanto ambita chiarezza, partendo proprio da una maggiore considerazione della capacità di comprensione dei nostri destinatari.
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