3 febbraio 2009

La Qualità di un Testo



Abbiamo già osservato nel post precedente come, nel giudicare se un messaggio risulti chiaro o meno, non si possa prescindere dalla capacità di comprensione del destinatario.



 

Da adesso in poi ci interesseremo in maggior misura di un’entità comunicativa ben precisa: il testo, come può esserlo una citazione a testimoni per udienza penale oppure una lettera del Ministero delle imposte. Spieghiamoci meglio: testi prodotti entro un contesto di comunicazione giuridica o burocratica da un emittente e decodificati da un ricevente. 

   Ma facciamo prima due considerazioni:
 
   Anzitutto, l’emittente in questione scrive in qualità dell’istituzione governativa che rappresenta. Pertanto è tenuto a conformarsi allo stile dell’organizzazione per la quale lavora e deve rispettare le direttive che riceve dai suoi superiori.
   In secondo luogo, dire destinatario è riduttivo. I destinatari, vale a dire i cittadini, hanno atteggiamenti, conoscenze, necessità e competenze diverse. Inoltre, quotidianamente ogni cittadino riceve materiale informativo cartaceo per posta che può non interessarlo. Di conseguenza sviluppa una sorta di resistenza all’informazione

   Ecco perché assumono particolare importanza aspetti come il dosaggio delle informazioni e la loro giusta organizzazione nel testo
   Ma ritorniamo al messaggio, ossia al testo. Anche il concetto di qualità testuale, così come abbiamo osservato per il concetto di chiarezza, sembra essere piuttosto vago.
A tale proposito si rivela interessante la proposta di Jan Renkema, professore della Tilburg University, il quale, nell’ambito di un progetto di ricerca sull’efficacia della campagna di comunicazione verso i cittadini sviluppata dal Ministero delle imposte olandese, ha elaborato un modello analitico e sistematico per valutare la qualità di un testo.


Criteri per valutare la Qualità di un testo: the CCC - Model
Nella prospettiva del ccc – model, questo il nome del modello, la qualità di un testo è strettamente vincolata al raggiungimento degli scopi che il testo si propone.
In pratica, si procede attraverso 15 evaluation points (momenti di valutazione) che si basano su tre criteri essenziali: corrispondenza, coerenza e correttezza.
Per corrispondenza si intende che la qualità di un testo è accettabile solo se l’emittente raggiunge i suoi obiettivi e se vengono soddisfatte le aspettative del ricevente. Nella ricerca dell’equilibrio tra emittente e destinatario abbiamo diverse alternative. Questo spiega il secondo criterio: la coerenza. La qualità di un testo dipende molto dall’abilità di chi scrive di essere coerente con le scelte fatte (struttura, terminologia, impaginazione). Il terzo criterio, la correttezza, impone che il testo non contenga errori, nella forma e nel contenuto.
I tre criteri si applicano ai cinque livelli tradizionali di analisi testuale: tipo di testo, contenuto, struttura, terminologia e presentazione

   Così per esempio se dovessimo valutare il contenuto di una lettera di risposta, inviata ad un cittadino che in precedenza chiedeva delucidazioni sulla detrazione di particolari tipi di imposte, diremmo che, per quanto riguarda il criterio di corrispondenza, la lettera debba rispondere in modo adeguato alle domande rivolte dal cittadino all’ufficio. Allo stesso modo, per quanto riguarda i criteri di coerenza e di correttezza, la lettera deve essere priva di contraddizioni e le risposte devono essere fornite senza errori.
   Tirando le somme, non possiamo non ravvisare alcuni limiti nel modello, come per esempio l’assenza di parametri che ci mettano in condizione di stabilire a priori se per esempio la terminologia scelta nella produzione del testo sia appropriata o meno. Probabilmente, per stabilire se le informazioni contenute da un testo siano sufficienti, dovremmo affidarci al giudizio di chi riceve il messaggio.
   Tuttavia bisogna riconoscere il valore del modello di Renkema. È nello stesso approccio dello studioso. Finalmente vengono prese in seria considerazione le aspettative ed i bisogni dei destinatari di una comunicazione.
Il sito ufficiale di Jan Renkema.

2 febbraio 2009

Meritiamo Chiarezza


   Cominciamo dagli aspetti che tendiamo a dare per scontati.

   Che cosa significa comunicare? A grandi linee significa scambiarsi delle informazioni. Chi vuole comunicare deve farsi capire, altrimenti fallisce il suo obiettivo di emittente. Se il nostro interlocutore non comprende il messaggio che vogliamo trasmettergli, è quasi come se non avessimo mai comunicato.

   A tal proposito A. Testa (2002) commenta che:
   “Se a non farsi capire è un professionsta della comunicazione, questo danneggia lui anche come professionista, che tradisce il mandato del suo committente e corre, poi, il rischio di farsi licenziare.
  Anche se non lo licenziano, c’è un particolare tipo di professionista che non può permettersi di non rivolgersi a tutti: è chi comunica per conto di un organizzazione pubblica […]”.


   Quando un tribunale, un ufficio o qualsiasi altra organizzazione pubblica cerca di regolare i comportamenti dei cittadini, e certamente lo fa comunicando, ha il dovere di farsi capire. Per garantire l’interesse pubblico è necessario che la comunicazione pubblica sia trasparente, ossia democratica, quindi chiara. 


   In questa ottica, la richiesta che istituzioni giuridiche e pubbliche comunichino e producano messaggi chiari e comprensibili non è solo una fissazione di linguisti o esperti della comunicazione, piuttosto scaturisce da ragioni pratiche .
   Infatti il comune cittadino si trova spesso nella situazione paradossale di dover adeguare il proprio comportamento a disposizioni che gli vengono comunicate in un linguaggio che comprende con difficoltà o, nella peggiore delle ipotesi, non comprende affatto. 

   Naturalmente i cittadini accettano l’ordinamento giuridico e si rimettono al giudizio delle istituzioni che regolano la vita associata, ma gran parte di essi lo fa senza conoscere bene le leggi e magari senza capire bene il contenuto della lettera che l’altro ieri hanno ricevuto dall’ufficio del comune in cui vivono. Perché pensano: “Qualche motivo ci sarà, meglio fare come dicono.” 
   Ma una democrazia ha bisogno di cittadini che siano maggiorenni e critici. Ha bisogno di cittadini che siano in grado di partecipare alle scelte e alle decisioni di uno stato. Ecco perché è necessario che il consenso e la collaborazione che le istituzioni chiedono ai cittadini si basino sulla possibilità di comprendere, e non sull’indifferenza.


Cosa significa essere chiari ?

La chiarezza sembra essere un concetto facile da riconoscere. Diremo per esempio che la lettera che abbiamo ricevuto ieri dalla segreteria dell’università alla quale siamo iscritti è scritta in modo chiaro, in quanto abbiamo capito perfettamente il contenuto che intendeva comunicarci. 

   D’altra parte però la chiarezza è spesso difficile da definire. E poi, chiaro rispetto a che cosa? Comprensibile per chi? Siamo d’accordo con Annamaria Testa (2002) quando sostiene che “Dire in maniera semplice e comprensibile come si fa a dire le cose in modo semplice e comprensibile è cooomplicatissssimooo.” Al contrario di quanto uno possa credere, è più facile scrivere complicato piuttosto che scrivere in modo chiaro.

   Sicuramente la chiarezza non ha un essenza statica, fissa. Un’ordinanza di citazione per esempio può essere chiara, quindi comprensibile, per l’avvocato Lo Bello, ma può non esserlo per sua moglie. La chiarezza, così come la comprensibilità, è sempre relativa. È relativa all’argomento, al contesto, al destinatario (e quindi alla sua condizione, alle sue competenze, alle sue motivazioni). Entrano in gioco variabili legate al tempo, al luogo, alle classi sociali, ai mezzi di comunicazione impiegati, alle scelte stilistiche.
   Quando parliamo di chiarezza e
comprensibilità dobbiamo spostare la nostra attenzione dalla capacità di esprimersi alla capacità di comprendere. In altre parole, quando la comunicazione, in ambito giuridico o burocratico, si svolge tra addetti ai lavori è improbabile che sorgano problemi di comprensione. Questi ultimi sorgono piuttosto quando impiegati che lavorano nei tribunali o per altre organizzazioni pubbliche parlano o scrivono ai cittadini. Nella maggior parte dei casi infatti l’esperto che si configura come emittente tende a considerare se stesso come unica misura di comprensibilità di quanto dice o scrive, proiettando le proprie competenze sul destinatario.


   Non è necessario dunque avviare un processo di semplificazione che coinvolga a trecentosessanta gradi tutta la comunicazione che si sviluppa in ambito giuridico o negli ambienti burocratici. Occorre piuttosto, nel momento in cui ci si rivolge a utenti non esperti, insistere su una comunicazione adeguata ed efficace; quindi tentare di raggiungere la tanto ambita chiarezza, partendo proprio da una maggiore considerazione della capacità di comprensione dei nostri destinatari.
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29 gennaio 2009

Tecnicità o Chiarezza ?


La necessità di precisione e specializzazione

   Normalmente quando comunichiamo nella vita di tutti i giorni lo facciamo in modo soggettivo, ossia osservando e descrivendo la realtà dal nostro personalissimo punto di vista. 

   Spesso attribuiamo alle parole un valore connotativo, ossia giocano un ruolo fondamentale le piccole sfumature di senso che le parole acquisiscono in aggiunta al loro significato base. 

   Sono ammesse le ambiguità, ossia l’ambivalenza semantica.

   Ma la lingua di tutti i giorni non è adatta ad esprimere una materia come il diritto, che è oggettivo e deve assicurare la certezza del diritto. La lingua comune non dispensa obblighi; non ha quell’efficacia giuridica che il diritto pretende. Pertanto è necessario creare una lingua “artificiale” che dia alle parole una valenza giuridica. La terminologia giuridica funziona, e senza di essa sarebbe inimmaginabile riuscire a soddisfare pienamente i fini e i compiti che la materia diritto ha.
   Analogamente lo stile impersonale, ufficiale ed uniforme che contraddistingue la lingua della burocrazia è funzionale alla prassi lavorativa di un ufficio pubblico, dove ogni disbrigo avviene in modo rigorosamente oggettivo, senza riguardo alla persona.


   Dunque la comunicazione specialistica, nel nostro caso quella che si sviluppa in ambito giuridico e burocratico, non pùo prescindere da un lessico specialistico e neanche da scelte linguistiche che si manifestano a livello morfosintattico e testuale. In ogni disciplina o ambito professionale le informazioni devono essere trasmesse in modo ottimale, ossia senza perdità di tempo o energia.
   Tuttavia in nessun altro ambito come in quello giuridico e burocratico, nella comunicazione sono coinvolti i non addetti ai lavori: i cittadini. E nel prossimo post vedremo i problemi che comporta.
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28 gennaio 2009

Come parlano i Burocrati


   La quasi totalità dei tecnicismi specifici che incontriamo nella lingua della burocrazia sono presi in prestito da altre lingue speciali, dato che spesso capita che un testo burocratico debba dare disposizioni su diversi ambiti professsionali. Per esempio in una frase come potrà conferire il TFR maturando ad una forma pensionistica complementare, l’acronimo TFR è preso in prestito dal diritto del lavoro.

   Al contrario proliferano i tecnicismi collaterali. L’uomo di scrivania, tra le varie alternative a disposizione, si orienta sempre verso quel termine che gli sembra più dotto e lontano dal comune. Dirà espletare (anziché svolgere). Dirà entro e non oltre (sarebbe sufficiente entro). Dirà colonnina di mercurio (e non termometro). Alcune volte la ricerca del sinonimo, della forma colta, può portare a risultati quasi impensabili. Beccaria (1992) racconta di un dirigente di banca che

  “si trovò a scrivere una lettera di raccomandazione, e dovendo scegliere una parola per designare il suo protetto nella situazione di colui che’ domanda’, esitò tra richiedente, istante, postulante, e finì per buttarsi sul latinismo, il petente, senza preoccuparsi delle allusioni sgradevoli suggerite dal nobilissimo vocabolo.”
   Ricorrono, con una frequenza piuttosto alta, sostantivi derivati verbi, con suffisso zero come per esempio bonifico, esubero, convalida. Ma accade anche il contrario, ossia verbi che derivano da sostantivi come per esempio disdettare da dare disdetta.
La tendenza di “substantivieren” si registra anche nella lingua tedesca: Einleitungserlaubnis deriva dall’espressione zu erlauben, dass etwas eingeleitet werden darf.
   Inoltre, abbondano nei testi burocratici espressioni e fraseologie ridondanti come per quanto attiene e si darà luogo all’ascolto. Similmente in tedesco spesso si utilizza il suffisso –nahme, come in Aus Rücksichtnahme auf die Anlieger…, preferita alla forma più semplice Mit Rücksicht auf die Anlieger.
   Gli aspetti morfosintattici messi in evidenza nella descrizione dello stile espositivo giuridico valgono anche per i testi burocratici. Si impongono le forme impersonali (si ritiene, si riscontra, si dispone) e, per quanto riguarda la scelta dei modi verbali, ricorrono spesso l’infinito (a decorrere da), il gerundio (utilizzando il fac-simile allegato) e il participio (modulo contenente le informazioni, preso atto).
   Sintatticamente il burocrate preferisce esprimersi con periodi complessi e molto lunghi, ricchi di informazioni compattate in più frasi subordinate come per esempio il versante deve compilare in tutte le sue parti, purché con inchiostro nero o nero-bluastro.
   Concludiamo con un esempio tratto da un brano di Italo Calvino che presenta le caratteristiche della lingua della burocrazia, evidenziandone il peccato principale: il terrore semantico, per dirla con le parole dello stesso Calvino, cioè la fuga di fronte ad ogni vocabolo che abbia di per se stesso un significato. Il burocrate si rifiuta di chiamare le cose ciascuna col suo nome. Ecco un frammento del brano:

   Il brigadiere è davanti alla macchina da scrivere. L’interrogato, seduto davanti a lui risponde alle domande un po’ balbettando, ma attento a dire tutto quello che ha da dire nel modo pù preciso e senza una parola di troppo:”Stamattina presto andavo in cantina ad accendere la stufa e ho trovato tutti quei fiaschi di vino dietro la cassa del carbone. Ne ho preso uno per bermelo a cena. Non ne sapevo niente che la bottiglieria di sopra era stata scassinata”. Impassibile, il brigadiere batte veloce sui tasti la sua fedele trascrizione:”Il sottoscritto, essendosi recato nelle prime ore antimeridiane nei locali dello scantinato per eseguire l’avviamento dell’impianto termico, dichiara d’essere casualmente incorso nel rinvenimento di un quantitativo di prodotti vinicoli, situati in posizione retrostante al recipiente adibito al contenimento del combustibile, e di avere effettuato l’asportazione di uno dei detti articoli nell’intento di consumarlo durante il pasto pomeridiano, non essendo a conoscenza dell’avvenuta effrazione dell’esercizio soprastante”.

23 gennaio 2009

Burocrazia e Burocratese

   “[…] scegli fra tutto il popolo uomini capaci, timorati di Dio, leali, sdegnosi di lucro; e stabiliscili sul popolo come capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di decine, affinché rendano giustizia al popolo in ogni occorrenza: e riferiscano a te soltanto le questioni di maggior importanza, ma risolvano essi stessi le cause più piccole […]”(Vecchio Testamento, Libro dell’esodo, 18,20 – 18,23.)

   L’idea di organizzazione burocratica la scoviamo in una delle fonti più antiche dell’umanità, e in particolare in uno dei consigli che Mosè riceve da suo suocero, Jethro, nel Vecchio Testamento. E tanto antica quanto la stessa burocrazia sembrerebbe essere la critica indirizzata ad essa. Lo stesso termine burocrazia è marcato piuttosto negativamente. La burocrazia quasi ci disturba, come fosse un condomino antipatico che siamo comunque costretti ad incontrare ogni mattina per le scale.


   In effetti la nostra vita pare essere gestita e continuamente assistita da una macchina onnipresente, vincolata a regole ben precise.
   In epoca moderna lo stato ha iniziato a dotarsi di un proprio apparato di dipendenti, dapprima assai contenuto, ma poi via via crescente, fino a divenire negli ultimi decenni un articolatissimo complesso di addetti alla pubblica amministrazione.


   La lingua della burocrazia è di conseguenza la lingua dello stato. Eppure l’etichetta lingua della burocrazia o linguaggio burocratico-amministrativo, come viene spesso definita, continua ad apparirci una realtà poco circoscritta. . Dichiarazioni di assunzione, estratti conto, moduli di tutti i tipi, verbali di contestazione (multe), bandi di concorso, circolari ministeriali e non, avvisi ai cittadini, sono testi che, nonostante la diversità dei messaggi che veicolano, fanno parte della comunicazione intesa come burocratica. Ciò che li accomuna è la presenza di alcune scelte linguistiche.

 
   L’apparato burocratico si regge sulle leggi dello stato, per cui il linguaggio burocratico è direttamente legato alla lingua del diritto. In molti lo considerano una sorta di parente povero, o caricaturale del linguaggio giuridico. Conserva la stessa inclinazione che ha la lingua del diritto per la precisione, l’impersonalità e l’obiettività del proprio stile espressivo. In più, il burocrate segue soprattutto due comandamenti: rispettare i criteri di ufficialità e uniformità. Significa seguire le formule prescritte dall’autorità competente e garantire l’uniformità delle procedure e delle interpretazioni, motivo per il quale il linguaggio burocratico si presenta come una varietà di lingua immobile, scarsamente orientata ad accogliere innovazioni e cambiare la propria veste linguistica.


   Capita però, esclusi alcuni casi singolari, che nella comunicazione tra istituzioni di qualsiasi genere e cittadino lo stile oggettivo, impersonale ed ufficiale venga esasperato, amplificato a tal punto da creare inutili ed ingiustificabili barriere alla comprensione. Il passo è breve, anzi brevissimo. Impersonalità ed ufficialità diventano agli occhi del profano oscurità, artificiosità e anonimato. Ecco che, anche a causa della sua più forte ricaduta sulla vita di tutti i giorni, da diversi decenni si contano diversi tentativi di semplificazione del linguaggio burocratico-amministrativo, ma di questo parleremo più avanti. Invece elenchiamone brevemente le caratteristiche, o i peccati (dipende dalla prospettiva che intendiamo assumere).
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22 gennaio 2009

Come parlano gli Avvocati


   Se chiedessimo all’avvocato Lo Bello cosa è una rissa, risponderebbe che è una “violenta mischia con vie di fatto tra persone che compiano atti di violenza col duplice intento di arrecare offesa agli avversari e di difendersi dalle offese di costoro”.
   Suo cugino, tifoso instancabile della Lazio, direbbe genuinamente che è “un’occasione dove tante persone si danno altrettante botte cercando di non prenderle”.

   Ora, è evidente che l’avvocato Lo Bello utilizzi una lingua specialistica perchè rappresenta il mezzo neccessario affinchè, tra lui e gli altri esperti di diritto, la comunicazione risulti ottimale.

   Ebbene come si manifesta concretamente una lingua specialistica? Soprattutto, come si palesa a livello linguistico? .
   “[…] sie ist gekennzeichnet durch einen spezifischen Fachwortschatz und spezielle Normen für die Auswahl, Verwendung und Frequenz gemeinschaftlicher lexikalischer und grammatischer Mittel;[...]“

   Ovvero, ogni lingua specialistica è caratterizzata da un lessico specialistico e da norme specifiche che regolano la scelta, l’uso e la frequenza di mezzi linguistici lessicali e grammaticali comuni.

   Consideriamo allora brevemente le caratteristiche lessicali e lo stile espositivo della lingua del diritto, tentando di individuare le ragioni che portano a determinate scelte linguistiche.

Lessico


   Concretamente riconosciamo un linguaggio specialistico nel momento in cui ci imbattiamo in una terminologia diversa da quella che utilizza il nostro giornalaio di fiducia.
   La terminologia giuridica accoglie anzitutto il criterio di precisione o monoreferenzialità. Ogni concetto è definito in modo univoco, cioè “ogni termine deve avere un referente unico e dunque un solo significato”
   Altri aspetti rilevanti sono la totale assenza di connotazioni emotive nelle parole e una chiara tendenza verso l’economicità espressiva.

   Dunque, buona parte del lessico giuridico è formato da tecnicismi specifici, ossia parole indispensabili per la precisione terminologica come per esempio estradizione (un soggetto imputato o condannato, che si trova in territorio italiano, viene consegnato ad altro stato) o redibitoria (azione concessa al compratore per ottenere la risoluzione del contratto).

   Un'altra buona parte del lessico giuridico è composto da quei tecnicismi che i linguisti italiani definiscono collaterali in quanto non soddisfano le richieste effettive della comunicazione settoriale, piuttosto rappresentano la volontà degli addetti ai lavori di utilizzare un registro elevato ed esclusivo. A tal proposito Serianni (2003) osserva come alcune locuzioni preposizionali, per esempio a carico di (contro), vengano preferite a soluzioni più semplici e come in un aula di tribunale l’interrogatorio dei testimoni diventi, con molta disinvoltura, l’escussione dei testi.

   Eppure i tecnicismi da soli non sono sufficienti. Infatti, per darsi un lessico adeguatamente ampio e funzionale la lingua del diritto deve fare uso soprattutto di forme e strutture già esistenti nella lingua comune. Ovvero, il lessico giuridico contiene termini che nella forma concordano con quelli della lingua comune, tuttavia si distanziano da essi sul piano del significato, poiché attraverso l’utilizzo giuridico sono vincolati a significati più specializzati. E’ questo il caso del concetto di colpa che nel diritto penale presuppone che il soggetto non abbia volontà di commettere il fatto (infatti si oppone al concetto di dolo che presuppone l’intenzione di delinquere) mentre nel linguaggio comune questa distinzione non esiste; con la parola colpa si intende infatti la piena intenzione di commettere qualcosa. Stando a Oksaar (1992),

   “Gründe für die Anlehnung an die Gemeinsprache sind einerseits darin zu suchen, dass Gesetze und Urteile sich an die Allgemeinheit richten, andererseits aber darin, dass das Rechtsdenken in besonders weitem Umfang an die allgemein erfahrbaren Gegebenheiten des menschlichen Daseins anknüpft.[...]“


   Quindi i motivi dell’attenersi alla lingua comune vanno ricercati da un lato nel far tendere leggi e giudizi alla genericità, ma d’altra parte nel fatto che il diritto, in un’estensione particolarmente ampia, tenta di disciplinare tutte le situazioni vivibili comuni dell’esistenza umana. Da ciò derivano i problemi principali del rapporto tra lingua e diritto. La lingua rappresenta un problema per il giurista, e ciò che dice il giurista diventa un problema per il pubblico non specializzato. Diventa arduo per esempio se espressioni comuni come persona, cosa, parte, causa, come anche nella lingua tedesca Mensch, Geburt, Verwandtschaft, Nachtruhe vengono vincolate a determinati significati giuridici.

   Si pensi anche a quei concetti giuridici vaghi come fedeltà, fede, buon costume che sono necessari, nonostante rendino la lingua del diritto un linguaggio tecnico impreciso; oppure a termini astratti che esprimono rapporti e comportamenti come dichiarazione di volontà o reato d’omissione.

   La notevole presenza di parole e locuzioni latine come de iure (di diritto) oppure par condicio creditorum (pari condizione dei creditori), si spiega col fatto che, ad eccezione di quello anglosassone, tutti i diritti europei hanno come fondamento il diritto romano, e dalla volontà degli esperti di diritto di conservare una leggera patina arcaica ed il prestigio del loro linguaggio. Inoltre, pur non risentendo come altri ambiti professionali della forte influenza della lingua inglese, alcuni istituti giuridici (contratti) sono indicati col nome inglese: leasing, joint venture, franchising.

Stile espositivo


   Una delle funzioni fondamentali del diritto è garantire che si possa far riferimento a testi prescritti, ossia a norme, per disciplinare circostanze ogni volta differenti. Comprensibilmente questa stessa natura del diritto si ripercuote non solo sul lessico giuridico, ma anche su svariati aspetti morfosintattici e sulla testualità del discorso giuridico.

   Contrariamente a quanto accade nella lingua comune, perde importanza il verbo, e aumenta considerevolmente l’uso di forme nominali. Si pensi a costrutti come divieto di pubblicazione di… (è vietato pubblicare) e applicazione della pena su richiesta delle parti (le parti chiedono che venga applicata la pena) in cui quelli che sarebbero sintagmi verbali sono trasformati in sintagmi nominali. La stessa tendenza si registra nella lingua tedesca. Oksaar (1992) la giustifica, spiegando che

   “Der Nominalstil hat aber vielfach seine Berechtigung in der Rechtsprache, gerade von der semantischen Struktur der deutschen Sprache her.“

   Difatti, in tedesco, le forme nominali permettono di esprimere i concetti in maniera molto più coesa. Se analizziamo l’esempio utilizzato da Oksaar - Der Verein wird aufgelöst durch Eröffnung des Konkurses - percepiamo che il concetto giuridico che fa, in altre parole che provoca un effetto, è in questo caso Eröffnung des Konkurses e non l’espressione da cui deriva, ossia dadurch, dass der Konkurs eröffnet wird. Analogamente Einwilligung erteilen in una frase come wenn der Minderjährige seine Einwilligung erteilt è più fermo di einwilligen, e non solo perché Einwilligung funziona in quanto termine giuridico, bensì per il fatto che grazie al sostantivo è messo in risalto l’effetto dell’azione descritta. Altri motivi del preferire i costrutti nominali vanno ricercati senz’altro nell’intenzione degli addetti ai lavori di esprimersi in modo conciso.

   Per quanto riguarda la scelta dei tempi e modi verbali si rileva una presenza maggiore del congiuntivo nelle subordinate. Ricordiamo a tal proposito l’esempio tra persone che compiano atti di violenza. Diffuso è l’uso del participio passato che incontriamo spesso con funzione aggettivale come in ordinata citazione oppure con valore di sostantivo come in imputato.

   Si impongono, in netta controtendenza con il linguaggio di tutti i giorni, costruzioni passive come in per essere interrogati come testi; e frasi impersonali nelle quali spesso i soggetti sono collettivi o astratti, come nell’esempio che esso Giudice terrà nell’apposita sede del Tribunale, oppure introdotte da un si passivante come in si avverte che non comparendo.

   In tutti i testi giuridici, che si tratti di norme, sentenze, atti di citazione o altro, domina l’ipotassi, ossia la costruzione dei periodi è fondata sulla subordinazione di una o più proposizioni a una frase reggente. Questo tipo di organizzazione del discorso permette agli specialisti di diritto di passare in rassegna fatti e azioni che si trovano in un rapporto di sequenzialità logica in singoli periodi.

   Inoltre imbattersi in formule come la legge ora richiamata oppure incorreranno nelle pene comminate dall’art. 142 lett. e) del Disp. Att. del Codice di Procedura Penale è all’ordine del giorno quando si ha a che fare con testi giuridici; sono collegamenti anaforici o cataforici, vale a dire sintagmi che rinviano ad un preciso punto del testo ma anche ad altri testi (intertestualità) come si evince dal secondo degli esempi.

   In conclusione, trascuriamo momentaneamente i dubbi che abbiamo sulla chiarezza, o meno, di una lingua speciale qual è quella del diritto. Pertanto valutiamo la maggior parte delle scelte lessicali, morfosintattiche e testuali operate dall’avvocato Lo Bello giustificabili in quanto tutelano uno dei valori essenziali del nostro ordinamento giuridico, quello della certezza del diritto.
   Solo se i significati giuridici, e quindi anche il linguaggio che esprime tali contenuti, sono completi, precisi e senza ambiguità, è garantita la certezza del diritto.

Avvocati, Diritto e Lingua


   “Tesoro, voglio lo scioglimento del nostro matrimonio perché ho accertato l’impossibilità di mantenere o ricostituire la nostra comunione spirituale e materiale.”

   (Legge sul Divorzio, 1° dicembre 1970 n. 898.)


   Con un po’ di immaginazione ed ironia questo è il messaggio scritto che l’avvocato Lo Bello ha lasciato questa mattina a sua moglie, mentre lei ancora dormiva.

   Facciamo due considerazioni: l’avvocato Lo Bello vuole separarsi da sua moglie; l’avvocato Lo Bello non è un bravo comunicatore, almeno, in questa circostanza non lo è stato.
   Non ci chiederemo perché l’uomo Lo Bello non sia più innamorato di sua moglie. Ci chiederemo invece perché sua moglie abbia avuto difficoltà nella comprensione di quel messaggio. La signora Lo Bello avrebbe preferito che suo marito si fosse rivolto a lei in modo meno astratto, meno generico, più personale. Che si fosse espresso in modo chiaro insomma.
   Ma il nostro Lo Bello è un avvocato. Parla la lingua del diritto,ossia, come le descrive Sobrero (1993), una delle “cosiddette lingue speciali, che sono utilizzate per comunicare determinati argomenti, legati a particolari attività lavorative e professionali...”.Grandi domini come l’economia, la politica, l’arte, la moda, e appunto il diritto, descrivono la realtà, la influenzano e soprattutto vi intervengono, utilizzando i propri linguaggi.

   Ma a quale ambito ci riferiamo quando parliamo di diritto?

   Definire l’area di significato e quindi di fenomeni relativi a questa materia non è semplice.  

   Nella filosofia del diritto è una delle questioni centrali in quanto da ogni possibile definizione del concetto di diritto deriverebbe anche la chiave di comprensione dei fenomeni giuridici.Tuttavia un’analisi delle varie correnti della filosofia del diritto contemporanea, con riferimento alla definizione di diritto che propongono, non è imprescindibile nella prospettiva di questo blog. Cerchiamo invece di trovare una definizione minima, che colga il senso ordinario, forse approssimativo, attribuito alla parola “diritto” nella nostra cultura. Scomodiamo Kant, che definisce il diritto come:

   “L'insieme delle condizioni che consentono all'arbitrio del singolo di coesistere con l'arbitrio degli altri."

   Vale a dire, il diritto è l’insieme delle regole che disciplinano i rapporti sociali in una società; pertanto è indispensabile nella vita di uno stato, poiché, risolvendone i conflitti, permette una vita ordinata ai cittadini. Deciderà se, come e quando l’avvocato Lo Bello potrà separarsi da sua moglie. Il diritto, attraverso le leggi, domina la nostra vita e soprattutto, riguarda tutti.

   L’estensione particolarmente ampia che distingue il diritto da molte altre discipline si riflette inevitabilmente anche sulla lingua del diritto; di conseguenza non avrebbe nessun senso tentare di individuarne i confini precisi.

  Dunque il diritto si presenta da un lato come un insieme di fatti, dall’altro come un linguaggio. 

  Risulta persino difficile cercare di immaginare il diritto senza pensare al linguaggio che lo esprime. In sostanza, i contenuti di leggi, di sentenze, di arringhe difensive o accusatorie , di atti di citazione e di tutte le azioni legali che formano la prassi giudiziaria si realizzano mediante il linguaggio verbale. Nessuna meraviglia allora se Serianni (2003) afferma che “in nessun altro linguaggio settoriale la lingua ha tanta importanza quanta ne ha nel diritto”. 
   E in nessun altro linguaggio settoriale la questione della lingua è tanto problematica e delicata quanto lo è nel diritto, ci sentiamo di aggiungere noi.

Traduzione Giuridica Inglese-Italiano


   Vi vorrei segnalare un corso sulla traduzione legale. Peccato, al momento è fuori dalla mia portata...

   DAL 6 FEBBRAIO AL 21 MARZO 2009

   SI TERRA' A ROMA UNA NUOVA EDIZIONE DEL CORSO DI INGLESE LEGALE E TRADUZIONE GIURIDICA (INGLESE-ITALIANO)

   Il corso è rivolto a traduttori, avvocati, laureandi, laureati che si affacciano al mondo del lavoro, funzionari ed impiegati di enti pubblici e privati che conoscono già la lingua inglese ma che intendono specializzarla nel campo dell'Inglese Giuridico. La frequenza del corso dà diritto ad un attestato di partecipazione rilasciato da Englishfor, ente specializzato nell'organizzazione di Corsi di Inglese per Scopi Speciali.

   Il costo resta invariato rispetto alle edizioni dello scorso anno: 980,00 Euro comprensivo di Iva, iscrizione e materiale didattico.

   Scarica il programma, il calendario e la scheda di iscrizione da http://www.englishfor.it/..

21 gennaio 2009

Comunicare con Chiarezza


   
Comunicare è facile. Anzi, è facilissimo. Chiunque lo sa fare.
   

Ma farlo con efficacia, con chiarezza e farsi capire può diventare estremamente complicato. Lo è soprattutto in ambienti specialistici o settoriali, come quello giuridico o burocratico-amministrativo, che hanno una forte ricaduta sulla vita di tutti i giorni. In questi ambiti, gli addetti ai lavori utilizzano linguaggi specialistici, caratterizzati da scelte lessicali, morfosintattiche e testuali comuni. In tal modo, infatti, le informazioni sono trasmesse in modo ottimale.
   

   Eppure, sia il diritto che la burocrazia, per la loro stessa essenza, non possono non rivolgersi a tutti. Nel rivolgersi a tutti però il linguaggio utilizzato resta quello usato abilmente da pochi specialisti. Pensiamo alle leggi: il diritto domina attraverso le leggi. Le leggi esistono per tutti e riguardano tutti. Ma sono scritte in un linguaggio che tutti siamo in grado di comprendere?
   I prossimi interventi in italo-germanico vogliono tentare una breve e rispettosa descrizione delle peculiarità linguistiche della lingua del diritto (con un’occhiatina alla lingua della burocrazia).
   Perché, al comune cittadino, testi giuridici e burocratici sembrano essere scritti in un linguaggio oscuro ed astratto? E perché avvocati, giuristi e impiegati della pubblica amministrazione non si sforzano a semplificare quei linguaggi a cui hanno accesso solo pochi privilegiati? E anche se tendiamo a darlo per scontato ( e quindi trascuriamo), chiediamoci cosa significhi chiarezza? Quindi in base a quali criteri giudichiamo la qualità di un testo?


   A queste domande tenterà italo-germanico di rispondere con una serie di post. 

   E per evitare che le nostre deduzioni restino concetti campati in aria, analizzeremo un caso pratico e tangibile: la riscrittura delle Zeugenladungen (citazioni a testimoni), progetto al quale ha lavorato alcuni anni fa in Germania una commissione formata in gran parte da esperti di diritto, trovando soluzioni esemplari di semplificazione.

8 gennaio 2009

Fra il Dentro e il Fuori

Don Lorenzo Milani

"Io son sicuro che la differenza tra il mio figliolo e il vostro non è nella quantità né nella qualità del tesoro chiuso dentro la mente e il cuore, ma in qualcosa che è sulla soglia fra il dentro e il fuori, anzi è la soglia stessa: la Parola. I tesori dei vostri figlioli si espandono liberamente da quella finestra spalancata. I tesori dei miei sono murati dentro per sempre e isteriliti. Ciò che manca ai miei è dunque solo questo: il dominio sulla parola. Sulla parola altrui per afferrarne l'intima essenza e i confini precisi, sulla propria perché esprima senza sforzo e senza tradimenti le infinite ricchezze che la mente racchiude. […]
[…] Perché è solo la lingua che fa uguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l'espressione altrui. Che sia ricco o povero importa meno. Basta che parli."
 l'educatore Don Lorenzo Milani