22 gennaio 2009

Avvocati, Diritto e Lingua


   “Tesoro, voglio lo scioglimento del nostro matrimonio perché ho accertato l’impossibilità di mantenere o ricostituire la nostra comunione spirituale e materiale.”

   (Legge sul Divorzio, 1° dicembre 1970 n. 898.)


   Con un po’ di immaginazione ed ironia questo è il messaggio scritto che l’avvocato Lo Bello ha lasciato questa mattina a sua moglie, mentre lei ancora dormiva.

   Facciamo due considerazioni: l’avvocato Lo Bello vuole separarsi da sua moglie; l’avvocato Lo Bello non è un bravo comunicatore, almeno, in questa circostanza non lo è stato.
   Non ci chiederemo perché l’uomo Lo Bello non sia più innamorato di sua moglie. Ci chiederemo invece perché sua moglie abbia avuto difficoltà nella comprensione di quel messaggio. La signora Lo Bello avrebbe preferito che suo marito si fosse rivolto a lei in modo meno astratto, meno generico, più personale. Che si fosse espresso in modo chiaro insomma.
   Ma il nostro Lo Bello è un avvocato. Parla la lingua del diritto,ossia, come le descrive Sobrero (1993), una delle “cosiddette lingue speciali, che sono utilizzate per comunicare determinati argomenti, legati a particolari attività lavorative e professionali...”.Grandi domini come l’economia, la politica, l’arte, la moda, e appunto il diritto, descrivono la realtà, la influenzano e soprattutto vi intervengono, utilizzando i propri linguaggi.

   Ma a quale ambito ci riferiamo quando parliamo di diritto?

   Definire l’area di significato e quindi di fenomeni relativi a questa materia non è semplice.  

   Nella filosofia del diritto è una delle questioni centrali in quanto da ogni possibile definizione del concetto di diritto deriverebbe anche la chiave di comprensione dei fenomeni giuridici.Tuttavia un’analisi delle varie correnti della filosofia del diritto contemporanea, con riferimento alla definizione di diritto che propongono, non è imprescindibile nella prospettiva di questo blog. Cerchiamo invece di trovare una definizione minima, che colga il senso ordinario, forse approssimativo, attribuito alla parola “diritto” nella nostra cultura. Scomodiamo Kant, che definisce il diritto come:

   “L'insieme delle condizioni che consentono all'arbitrio del singolo di coesistere con l'arbitrio degli altri."

   Vale a dire, il diritto è l’insieme delle regole che disciplinano i rapporti sociali in una società; pertanto è indispensabile nella vita di uno stato, poiché, risolvendone i conflitti, permette una vita ordinata ai cittadini. Deciderà se, come e quando l’avvocato Lo Bello potrà separarsi da sua moglie. Il diritto, attraverso le leggi, domina la nostra vita e soprattutto, riguarda tutti.

   L’estensione particolarmente ampia che distingue il diritto da molte altre discipline si riflette inevitabilmente anche sulla lingua del diritto; di conseguenza non avrebbe nessun senso tentare di individuarne i confini precisi.

  Dunque il diritto si presenta da un lato come un insieme di fatti, dall’altro come un linguaggio. 

  Risulta persino difficile cercare di immaginare il diritto senza pensare al linguaggio che lo esprime. In sostanza, i contenuti di leggi, di sentenze, di arringhe difensive o accusatorie , di atti di citazione e di tutte le azioni legali che formano la prassi giudiziaria si realizzano mediante il linguaggio verbale. Nessuna meraviglia allora se Serianni (2003) afferma che “in nessun altro linguaggio settoriale la lingua ha tanta importanza quanta ne ha nel diritto”. 
   E in nessun altro linguaggio settoriale la questione della lingua è tanto problematica e delicata quanto lo è nel diritto, ci sentiamo di aggiungere noi.

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